domenica 21 ottobre 2012

Addavenì Ricciolone



Nella politica da baraccone della democrazia rappresentativa il teatrino delle elezioni, ridicolo, e l'accattonaggio dei voti dei candidati al governo della regione Sicilia segue da sempre logiche tutte sue. A petto della solita chiamata alla legalità e all'orgoglio siculo che infuoca i vari appetenti allo scranno e che attraversa le casacche di ogni colore il racket dei manifesti elettorali continua a regnare sovrano e il voto di scambio si presenta, come sempre, di solida e robusta costituzione. Nel marasma del vecchiume che si traveste di nuovo - con qualche stilla di freschezza che viene purtroppo confusa nel lercio dell'ovvio - le uniche ventate di novità sono state rappresentate dai Forconi e dal Movimento Cinque Stelle. Per suo conto il Movimento dei Forconi ha sbagliato ogni cosa. Dalle forme di protesta autolesionista di una jacquerie senza speranza e senza direzione che ha mandato avanti un popolo arrabbiato e politicamente ingenuo in attesa di non si sa che cosa (forse del tornaconto di qualcuno), al programma singolare ma populista per larghi tratti, allo scadimento nell'ennesimo partito indipendentista che trasformerà anche le buone intenzioni del migliore tra i forconi nella più trista forchetta affamata di privilegi. Arriveranno a Palermo anche loro, badate bene, il Movimento è molto forte nelle aree rurali e in quei territori che hanno vissuto per decenni di contributi a pioggia e che sono stati poi abbandonati a se stessi: territori in cui il risentimento per la vecchia classe politica è fortissimo, quella stessa classe politica che hanno fortemente contribuito a far eleggere per difendere gli interessi dei loro soliti noti.

Il Movimento Cinque Stelle invece merita attenzione.

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Guidato da un comico prestato alla politica (quanti politici rubati, purtroppo, al mondo della comicità) presenta molti aspetti interessanti per quanto contraddittori. Chi mi conosce sa che il Grillo politico non mi piace. Non perché non dica cose giuste, o degne di nota. A dirla tutta non dice nemmeno nulla di nuovo anche lo fa con una foga e una passione senza dubbio lodevoli. Non mi piace l’atteggiamento da santone che predica dall’alto di una cattedra senza accettare critiche o confronti e che si spaccia invece per uomo della strada, non mi piace nemmeno la venerazione vicina all’idolatria di molti grillini per il proprio leader. Non mi piace, infine, che in molti casi manchi una coscienza critica ben definita e che si accetti per oro colato quanto dice il lider maximo anche quando si tratta di palesi stupidaggini. Inevitabile tuttavia, se si pensa a come è sbocciata la fortuna del Grillo politico. Il popolo dei grillini è nato in Internet: quella Rete importantissima e allo stesso tempo pericolosissima, dove la democrazia dell’accesso rischia di far considerare reali certe notizie solo per il fatto stesso di stare in cima ai motori di ricerca, dove le notizie rischiano di moltiplicarsi incontrollate, senza fonte e senza capo, e dove rischiano di avere lo stesso valore pur non avendo tutte la stessa attendibilità. Il popolo di Grillo nasce dal sospetto nei confronti dei media tradizionali e dal disgusto nei confronti della vecchia classe politica e dei privilegi della “casta” – parola che adesso va tanto di moda. Senza magari sapere, perché estranei ai meccanismi della comunicazione di massa che l’equazione controinformazione uguale buona informazione non sempre è valida, e che l’autorevolezza di una notizia deriva dalla fonte e non dalla sua presenza in rete. Magari senza conoscere i meccanismi della buona politica (sì, credo che da qualche parte esista ancora) o senza conoscere quanto sia complesso amministrare la cosa pubblica. Conseguentemente, l’elettorato di Grillo è formato in larga parte da gente politicamente ingenua – che non significa stupida, ovviamente – e nella sua totalità da un popolo arrabbiato, deluso e disilluso da un’intera classe politica nella quale non riesce più ad avere fiducia.

Il problema è che nei momenti di crisi il populismo attecchisce facilmente, e molta gente non riesce a rendersi conto che non possono esistere risposte semplici a domande complesse. È facile gridare che le tasse sono troppe, che i politici sono tutti ladri, che siamo tutti stanchi. Ma poi? Dopo il vaffanculo liberatorio del V day che si fa? Il programma direte. I meetup. Un programma bellissimo, pensato, sicuramente espressione democratica di quanti hanno fatto parte dei meetup. Utopico per certi versi. Purtroppo. E con alcuni punti che prestano il fianco, anche facilmente, a critiche pure banali. Dopo due mandati il politico deve andare a casa per evitare che la politica diventi una professione. Ma se quell’uomo o quella donna si dimostrano degli eccellenti amministratori perché io, cittadino, non dovrei rinnovargli la mia fiducia? Se i politici sono nostri dipendenti, perché mai licenziare un ottimo dipendente che dà forza a questa “azienda”? Oppure la questione dei condannati in via definitiva da eliminare nelle liste. Capisco i reati legati alla politica e alle funzioni amministrative. Ma… Tutti i reati, davvero? Anche l’omicidio colposo? Anche il reato d’opinione? Anche il ladro di galline che ha rubato per necessità e che dopo aver “pagato il suo debito con la giustizia” non ruberà mai più? Che fine ha fatto la redenzione, la seconda opportunità? Oppure la proposta che consentirebbe ad un referendum popolare di mandare a casa un politico inadempiente. Riuscite solo ad immaginare in che modo le mafie potrebbero usare a loro vantaggio una legge simile, magari contro un politico che sta conducendo pubbliche lotte contro di loro? Il Movimento deve crescere ancora, politicamente, imparare ad amministrare. Correggere la propria rotta, svezzarsi e staccarsi dal seno del Ricciolone urlatore. Partendo dalle amministrazioni comunali magari, facendosi le ossa in tal senso. Lì potrebbero avere la mia fiducia: perché non metto in dubbio la voglia di fare, la volontà di cambiare e il desiderio di mettersi in gioco dei candidati e delle candidate del Movimento ed ecco perché li rispetto profondamente e li guardo con simpatia. Ma la Regione no, è un rischio troppo grande. Cancellieri è sicuramente una brava persona, ma sarei terrorizzato se diventasse presidente della Regione Sicilia. Se lo mangerebbero a colazione con tutte le scarpe.

Tuttavia, non dobbiamo commettere un errore. L'autoreferenzialità. Oltre al comizio di Grillo a Ragusa ho seguito (e seguirò in questi ultimi giorni di campagna elettorale) ogni comizio possibile, anche di figuri politici locali sicuramente discutibili. E per questo sono stato criticato. Ma l’autoreferenzialità è proprio una cosa che non sopporto. Andare solo ai comizi dei politici con i quali siamo d'accordo, ascoltare solo quelli della nostra parte, evitare il confronto con quelli della parte avversa perché ci sentiamo superiori a loro. La questione morale, vecchia storia. Ma se politica è competizione, e se una competizione si vince solo conoscendo l'avversario, come si può sperare di battere gli altri se si rimane dentro le proprie confortevoli mura autoreferenziali? Come si può attaccare, minare, demolire le parole dell'avversario se non lo si conosce a fondo? Come si possono intuire i suoi disegni più nascosti se non lo si segue da presso, se non lo si bracca quale preda in una battuta di caccia? Come si può distruggere il suo consenso se non si conoscono i suoi punti deboli, se non lo si vede agire, muoversi, interagire tra la folla di quelli che potrebbero rappresentare i suoi elettori? E come si può convincere la gente se ci si rifiuta di conoscerla, la gente? Se non si ascoltano le loro esigenze, se non si vive tra la gente, se non si parla la loro stessa lingua. Sentire Claudio Fava che parla in siciliano è come ascoltare Battiato che canta in inglese. Davvero, siamo seri. Mi spiace rivelare una triste verità a tutti i miei amici fricchettoni. La famigerata “società civile” non è fatta solo di persone che mangiano prodotti biologici, chiedono le piste ciclabili, riciclano diligentemente, conoscono Proust e Dostoevskij e parlano un italiano forbito. La società civile è fatta anche da persone che adorano il Big Mac, che usano la macchina (senza car sharing) anche per fare duecento metri, che butterebbero anche l’uranio nella spazzatura se ce l’avessero, che si mettono le dita nel naso e che magari commentano il Grande Fratello in siciliano sguaiato. Anche questa è società civile e anche queste sono brave persone come noi. Ma fino a quando vi considererete superiori a loro e li terrete a debita distanza perché compromessi con i soliti politici e piegati al voto di scambio non avremo concluso proprio nulla. Fino a quando non mancherete un discorso del politico che rispecchia i vostri ideali non avrete fatto niente.

Dalle persone  della propria parte ci si aspetterebbe un buon programma, concreto, e intelligenza politica. Non vado a battere le mani in piazza a chi la pensa come me, semmai ci vado per sentire cosa ha da dirmi che ancora non so. Vado con più interesse, invece, ad ascoltare chi la pensa diversamente da me. Per studiarlo, per capirlo, per raccogliere tutti gli elementi possibili, i passi falsi, le gaffes, gli inciuci che potrebbero più facilmente farlo cadere. Questo dovrebbero fare i candidati, questo dovrebbero fare i cittadini. Altrimenti continueremo ad applaudirci tra di noi, ci diremo quanto siamo più onesti, bravi, buoni, belli e con l'alito più fresco rispetto alla parte politica avversa e alla fine di tutto, con la stupida arroganza di chi è convinto di essere migliore, non avremo fatto nulla per consentire alle nostre idee di crescere e di raggiungere anche persone lontane da noi. E lasceremo colpevolmente spazio a intrallazzini, inetti e truffatori, facce di bronzo, tirapiedi e baciapile, figli d'arte, troie di regime e uomini del fare. Incapaci di mettere insieme due parole in un italiano men che mediocre, incapaci di stilare un programma, incapaci di amministrare. Ma soprattutto incapaci di pensare ad uno straccio di futuro per la nostra terra: visto che già il presente, e noi con lui, è andato inesorabilmente bruciato.

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